Il Quinta de Monserrate, ex residenza reale, è stato veramente un’incredibile scoperta, pur avendolo visitato in pieno inverno. Fin dall’ingresso enormi querce coperte di felci ed epifite seguivano il sentiero e la cura con cui erano inserite alberi, piante e arbusti vari mi ha subito colpito. Inizialmente sono corso a vedere il grande Metrosideros excelsa, ma poi ho cominciato a guardarmi in giro sempre più stupito.
Il parco è diviso in zone geografiche (Messico, India, Nuova Zelanda e Australia) e con pochi passi si passa dalla foresta australe a quella Centroamericana. Mi sono quasi commosso quando da lontano ho intuito la presenza di un grande albero di Kauri (Agatis spp). Uno degli alberi simbolo della Nuova Zelanda. Alcuni anni fa avevo scalato e misurato forse il più alto al mondo di questi giganti. Ci avevo passato appeso alla mia corda una intera notte di vento impetuoso, aspettando infreddolito l’alba. Non pensavo che esemplari così grandi potessero essere stati piantati nel nostro continente. L’Agatis robusta – piantata giusto dietro il grande pothuanka – era alta quasi 30 metri.
Ma le sorprese continuavano. Entrando nella zona messicana, un grande esemplare di Taxodium mucronatum faceva bella mostra di sé. Anche a questo singolare cipresso calvo ero molto affezionato. A Nola, pochi anni fà, avevamo difeso in tutti i modi un esemplare simile per evitarne l’abbattimento. Rivedendolo, rivedevo i volti dei miei amici napoletani, che ci avevano chiamato e con noi avevano condiviso quella battaglia, e pensavo dolcemente a quanto la natura è potente. Al di là di tutte le perizie tecniche che davano il cipresso di Montezuma per spacciato, la pianta era ancora là. Solo noi avevamo intuito che il grande albero si poteva salvare e che, al di là delle apparenze, era ancora robusto e fortemente vitale.
Continuando sul ciottolato perfettamente pulito, incontrai altre specie di araucarie che facevano bella mostra di sé, enormi alberi di grevillea e una Criptomeria japonica enorme, tra le più grandi d’Europa. Veramente non sapevo da che parte guardare, cosa misurare o fotografare. Fino a che non vidi quello che mi sembrava un vecchio tempio diroccato. Sopra il portale mi pareva di scorgere una mia vecchia conoscenza, e un altro dei miei vecchi amori. Mi avvicinai. Il tempio era una ricostruzione di un vecchio edificio indiano, il portale con l’arco in marmo era originale e proprio sopra, uno splendido Ficus magnolioides cresceva, con i rami al cielo e le radici ad abbracciare i vecchi muri.
Una ricostruzione perfetta di un angolo di jungla indiana. Restai incantato a guardare tutte quelle meraviglie. A pensare quanta conoscenza e perizia tecnica era occorsa per creare quel meraviglioso parco, dove, in pochi ettari c’era la flora di mezzo mondo. Emozionante. Uscii solo perché imbruniva e l’ora di chiusura sembrava arrivata. Il portinaio aspettava l’ultimo visitatore ritardatario per chiudere il cancello. Ero io.