L’esplorazione è poi proseguita a piedi nella foresta della riserva di campo Cocha, dove Paulo
aveva
preventivamente individuato alcuni degli alberi più alti della volta verde equatoriale.
Tra macheteros, guide, tecnici, cucineros e fotografi, il campo era composto da quasi venti persone e
muoversi nella
foresta in così tanti, non facilitava l’ispezione e la ricerca dei grandi alberi.
Tant’è che in tre giorni di cammino non eravamo riusciti ad individuare nessun esemplare oltre i 50 metri.
Occorreva cambiare modalità di indagine e probabilmente anche luogo.
Mi ero convinto che, essendo la volta della foresta compresa tra i 25 e i 30 metri, le piante più alte e
dominanti, non avessero alcun bisogno di crescere
oltre i 45 -50 metri, per cui sarebbe stato quasi impossibile trovare esemplari in grado di oltrepassare i
fatidici 50 metri.
Decidemmo di puntare allora sulla riserva waurani di Gareno, un po' più isolata e meno
“frequentata” anche dai nativi. L’intuizione si rivelò corretta.
In fondo ad un avvallamento, compreso tra due piccoli corsi d’acqua, siamo riusciti ad individuare, grazie
alle guide locali, un grande fusto di
ceiba pentrandra. Da terra era impossibile scorgerne la cima.
Abbiamo allora utilizzato il drone, per ottenere indicazioni sulla sua altezza sia assoluta che
relativa. La chioma troneggiava solitaria sulla
foresta che si stagliava tutta attorno e sembrava oltrepassare i fatidici 50 metri, che oramai avevamo
capito essere il muro da oltrepassare.
La pioggia continuava a scendere impetuosa e non potevamo permetterci di rinunciare ad arrampicare
quell’esemplare, abbandonando l’impresa solo a causa del clima
avverso.
Abbiamo così deciso di tentare l’arrampicata anche sotto la pioggia. Il solo lanciare il sagolino
col cannone sotto gli scrosci d’acqua è stato un’impresa titanica, senza contare che la pioggia favoriva
l’uscita di rane e serpenti velenosi. Ma è stato proprio quando siamo riusciti a posizionare le funi sotto
la pioggia torrenziale che l’albero ha deciso che eravamo degni del suo aiuto e ha fatto segno al cielo di
smettere. Come un miracolo, la pioggia ha smesso di colpo di cadere e potevamo salire l'enorme fusto senza
che la tempesta ci inondasse.
Il primo tratto di fune, scartando felci arboree, palme e grosse radici aeree era abbastanza semplice.
L’unica paura, qualche Konga che da un ramo o una foglia passasse sul viso o sulle braccia.
Bardati come palombari, quasi immediatamente il clima afoso e saturo di umidità iniziò a rendere sempre
più
difficoltosi i gesti abituali. Arrivato sotto il primo ramo, un grande ficus strangolatore appoggiato
pesantemente sul ramo mi impediva ancor più i movimenti.
La “terra del cielo” cresciuta nei secoli dalla decomposizione di foglie e animali sui grossi rami odorava
di un profumo intenso di humus bagnato e muschio di mille colori.