di Daniele Zovi
Primavera.
Salgo a fine aprile lungo la mulattiera di Erio. É una strada sterrata costruita più di un secolo fa dal genio militare per collegare il fondovalle al forte Verena, quello da cui, il 24 maggio del 1915 è stato sparato, verso il Trentino allora austriaco, il primo colpo di cannone della prima guerra mondiale: l'Italia entrava nel conflitto.
Queste strade vengono chiamate mulattiere, perché hanno poca pendenza, quella giusta per consentire ai muli di salire con carichi pesanti. L'andare è facile, il passo è ben scandito dall'inclinazione costante, non fosse per gli strati di neve che s'incontrano nei versanti più freddi: cammino sul ghiaino, faccio una curva verso ovest e mi ritrovo a dover superare una lama di neve vecchia, stratificata, in parte ghiacciata, in parte inconsistente in cui sprofondo.
Gli amici del paese mi avevano detto: “Vedrai che andrai su bene: è tutto hapar”, che nell'antica lingua indica quello che resta dopo che la neve si è sciolta. Ma così non è; non lo è, perché in montagna la primavera è lenta ad arrivare, qualche volta si dimentica di farlo, qualche altra salta da un versante all'altro e così ritrovi gli effetti del suo passaggio nei versanti a sud e ancora l'inverno in quelli a nord.
Ai lati della strada e nelle radure, rosee fioriture di erica mentre i crochi sono titubanti: sono usciti dal terreno con le loro corolle bianche, che tengono ancora chiuse come non si fidassero dei primi tepori.
Guardando i fiori, mi sorprende il vecchio abete. Pochi metri davanti a me il tronco quasi nero emana un vapore, che si illumina al primo raggio di sole, come se la pianta si risvegliasse, cominciasse a respirare e nel farlo il suo fiato si condensasse in piccole nuvole.
Testo e fotografia di Daniele Zovi