Orto Botanico di Quito

Pubblicato da Giant Trees Foundation il 18 Maggio 2019
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Ecuador

Quito la sua capitale

La giornata non era cominciata sotto i migliori auspici. Appena alzati, verso le 6 e 30 avevamo selezionato il materiale da portare, perché arrivare all’Orto botanico in taxi con tutti i bagagli dell’attrezzatura non era possibile. Sapevo che sarebbe stato rischioso. Sicuramente avrei scordato qualcosa di importante. Arrivati all’orto ci accolse il direttore tecnico, una giovane e bella ragazza, Tatiana, che ci fece vedere le piante dove potevamo fare la dimostrazione, ci offri un caffè in splendide tazze decorate che ci regalò e ci mise a disposizione tutto quanto chiedevamo. Per la dimostrazione scelsi un cipresso di Monterrey, abbastanza particolare come forma. Con i suoi 32 metri era la pianta più alta dell'Orto Botanico e,  sia la sua altezza che la posizione abbastanza isolata dove cresceva, la rendevano adatta alla dimostrazione di arrampicata e potatura. Avrebbe permesso a tutti gli operatori di assistere alle operazioni da una posizione sicura ma al contempo privilegiata. Cominciammo così a preparare l’attrezzatura mentre alcuni operatori dell’Orto botanico di Quito delimitavano l’area di cantiere. Ci venne incontro la “Direttora” del parco, Carolina Jjon, con la quale mi ero sentito e accordato tramite mail. Una donna minuta, mora, elegante e distinta, sulla sessantina, visibilmente claudicante. Ci presentammo rispettivamente. “Tra un po’ arriveranno anche i tecnici comunali, mi spiace non aver potuto fare la dimostrazione su un Arbol patrimoniale, in un parco pubblico, come comunicato inizialmente, ma il municipio ha fatto storie per il permesso. Una volta seguivamo direttamente noi gli arboles patrimoniales ma poi sono passati sotto la gestione municipale. Vedremo se al vostro rientro dalla foresta potremmo fare l’intervento su uno di quelli” “Non si preoccupi, la location è comunque straordinaria e per noi è un onore essere qui oggi”. Arrivarono gli altri tecnici, alla fine una dozzina in tutto e cominciai la lezione, tradotto in parte da Giovanni e a volte lasciandomi andare a strafalcioni anglospagnolitalianfriulani che comunque i tecnici pareva capissero. Purtroppo, il pezzo forte che avrebbe dovuto fare da “overtur” alla lezione non poteva esserci. Avevo previsto, dopo aver spiegato l’attrezzatura, di fare alcuni lanci a mano col sagolino, magari sbagliando belle e apposta e poi stupire tutti con l‘utilizzo del nostro cannone. Purtroppo nella borsa che avevo portato mancava un pezzo di raccordo tra il corpo centrale del cannone e il tubo di lancio. In più il sagolino che dovevo usare era nuovo, per cui manteneva tutta la “bad memory” dell’avvolgimento sul rocchello e si annodava continuamente. Pensavo che comunque sarei riuscito a salire lanciando il sagolino a mano, ma il peso, pur centrando rami buoni non aveva alcuna intenzione di scendere. Il semplice attrito con i densi rametti esterni del cipresso creava un tale contrasto che impediva perfino a sacchetti di 450 grammi di raggiungere il terreno. Provai un sacco di volte, tanto che un paio di tecnici si stancarono e credo abbandonarono la lezione. Provammo a utilizzare anche il fiondone dell’Orto botanico per penetrare meglio nella chioma ma con ancor minor fortuna. 

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Alla fine lanciai in verticale da sotto la pianta

e finalmente presi dei rami abbastanza grossi anche se non molto alti.

Installai la corda e una risalita veloce e uno spostamento orizzontale su una lunga branca quasi fino ai rami terminali mi permisero di recuperare credibilità con gli operatori rimasti ad assistere. Spiegai alcune tecniche di taglio e di intervento e una volta sceso si accese la discussione, fioccarono le domande, e gli inviti a effettuare alcuni sopralluoghi in città. “Abbiamo dei boschi urbani dove sono caduti molti alberi ultimamente, in seguito a forti piogge e venti non così forti. Non riusciamo a capire il motivo dei crolli” mi disse un tecnico del comune di Quito “Credo che la prima cosa da valutare sia il profilo del terreno, se gli alberi si sono ribaltati con la zolla durante piogge intense, potrebbe trattarsi anche semplicemente dello scollamento di due strati diversi di terreno, fenomeno che può essere amplificato durante forti temporali, con forti piogge e venti di una certa intensità e che può interessare anche piante in buona salute ma con una chioma che può avere un effetto vela notevole. Ne abbiamo avuto evidenza anche da noi durante la Tempesta Vaia. In alcuni boschi le piante si sono ribaltate scollandosi dallo strato roccioso e portandosi dietro, incollato alla zolla, tutto il terreno” L’argomento suscitò vivo interesse tra i presenti e continuammo a parlare a lungo. Ancora più numerose arrivarono altre domande, sulle corrette tecniche di potatura, sulle varie malattie, sulla gestione degli alberi vetusti, tanto che si fece tardi e ci lasciammo con l’idea di fare un sopralluogo su vari siti del comune al nostro rientro prima di effettuare, il giorno seguente, un intervento dimostrativo di potatura su un Arbol Patrimoniale. Suscitando la curiosità dei tecnici presenti eravamo riusciti a ottenere quanto richiesto in precedenza da Carolina senza successo.

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Era oramai l’una passata

da un pezzo quando la voce solare di Tati ci gridò: “Avanti è ora di andare a pranzo!"

Vi abbiamo preparato un pic nic nel nostro orto sotto la nuova pergola” La pergola era la stessa che il sabato aveva ospitato la mostra di frutta proveniente da tutto il mondo. Carolina, visibilmente contenta della lezione ci disse “Non posso fermarmi con voi a pranzo ma se il pomeriggio volete, verso le 16 ci vediamo in centro e vi porto a visitare alcuni tra i primi e più insoliti Arboles Patrimoniales” Guardai gli altri del team e annuii “Non abbiamo ancora avuto occasione di visitare il centro storico dei Quito, quindi ben volentieri accettiamo l’invito” “Alle quattro mettono pioggia” aggiunse Ciretta. “Non saranno quattro gocce a fermarci” risposi ridendo. Parlammo dei grandi alberi con Tatiana, che con la sua voce allegra e giocosa ci tenne compagnia. Ciretta non gradiva il cilandro (Coriandrum sativum), erba che usata fresca aveva un retrogusto amaro e con un forte odore acido che gli equadoregni mettono in qualsiasi piatto, e quindi anche nel ceviche di gamberetti che ci avevano preparato e per cui si limitò a mangiare i pop corn e le banane fritte. Davide, Giovanni ed io ci spartimmo equamente e con molto piacere il suo piatto. Tornando verso l’ufficio chiesi a Tati informazioni sugli alberi più alti. “Nel parco Yasuni c’e una particella, la n. 90, che viene seguita da oltre 20 anni, Li credo ci siano gli alberi più grandi. Se vuoi ti do i riferimenti del responsabile. E’ un mio amico” Mentre mi feci scrivere i riferimenti del contatto pensai che la particella n. 90 deve essere un numero magico. Anche in Italia avevamo individuato l’albero più alto del paese nella particella n. 90 della riserva forestale di Vallombrosa sopra Firenze.

Salutammo calorosamente Tati che ci chiamò il taxi e mentre ci inspallavamo i pesanti zaini con voce allegra ci salutò “A presto, il taxi è già pagato”.

Arrivammo nel centro di Quito verso le 15.30. Una grande araucaria dominava la piazza, giusto di fronte alla cattedrale. Mentre aspettavamo Carolina girammo un po’ per le vie del centro. “Considerando le abitudini sudamericane arriverà per le cinque” ridacchiò Giovanni. Invece alle 15.55 squillò il mio cellulare. “Sto parcheggiando. Dove ci troviamo?” “Sotto l’araucaria della piazza” “Muy bien” Non feci in tempo a mettere via il cellulare che fragorosa iniziò la prima pioggia tropicale. “Cira avevi ragione! Quattro in punto e piove” Ci riparammo nel sottoportico dove tutta la gente si era riversata per proteggersi dall’acqua. “Come cavolo farà a trovarci in questa ressa?” Non riuscii neppure a pensarlo che sentii chiamare il mio nome. Sotto un ombrello rosso, immersa tra la gente, Carolina mi faceva cenno con la mano, mentre da lontano avanza impassibile tra la folla che ondeggiava sotto il porticato. “Mi dispiace che piova. Andremo prima a vedere un "hico" giusto qui vicino”

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