“Un anno fa eri sul Passo del Pura
Era appena passata Vaia e piangevi davanti agli alberi spezzati dalla furia dell’uragano
Oggi ha spolverato la neve sui monti. Ed è una domenica di splendido sole”.
Prendo i cani e parto. Argo non è mai andato sulla neve, Wolf ne ha già annusato l’odore. Sul Pura le poche auto che han voluto spingersi fino al passo sono già in in panne sulla neve. E anche io devo farmi spingere. Ci sono almeno 20 cm di neve sul passo. Davanti le montagne intonse dipinte di candido colore. I cani scorrazzano qua e là affondando nella neve silenziosa. Voglio lasciarli liberi. Guardo le impronte lasciate dagli altri escursionisti e scelgo il sentiero dove non è passato nessuno.
Porta a Casera Nauleni.
Entriamo nel bosco,
il sentiero sale ripido tra la neve che si alza in spessore e cade a tonfi dagli alberi che ancora abbraccia. Il silenzio pervade la foresta ancora ferita, coperta da quella coltre pietosa. Alberi spezzati, tronchi divelti giacciono nascosti, quasi vergognosi. Il sole acceca la neve e riluce sul verde nascosto di bianco dei rami. Tracce di cervo si accompagnano a un capriolo, o semplicemente cercavano sul medesimo cammino, il muschio che risalta sui massi a strapiombo dove la neve non riesce a far presa. L’abete e il faggio, si inchinano al larice che ora li sovrasta austero, nella sua pelle di ermellino disposto superbamente tra i rami. Wolf apre la via, Argo fatica a starci dietro. Era un cane randagio di città, non aveva mai visto la neve. Si perde spesso a guardare attonito quello strano bosco incantato o viene inghiottito repentinamente, da un buco nascosto di bianco, che improvviso si tinge di nero. Lo chiamo per rassicurarlo.
Arriviamo in vista della baita col bosco che si apre sulle cime attorno, in una delle sue vesti migliori nasconde il dolore e contrasta un cielo di un azzurro denso ma sfolgorante. Ora la coltre nevosa supera i 50 centimetri. Scrivo sul registro della baita, semplicemente che ci sono. Sono qui. Respiro la neve, gli alberi, il cielo, le cime.
Inondo gli occhi di bianco,
ne faccio scorta per tornare in pianura,
per mantenere il sorriso nel mare del precipizio verso cui ci gettiamo. Fino a quando ancora Madre Terra subirà le nostre ingiurie ? Fino a quando, ancora timorosa, cercherà di celare le sue ferite? Fino a quando potremo ancora, ingiustamente presuntuosi, godere le sue bellezze?
Nel suono impervio del silenzio, annuso i milioni di fiocchi che l’Artista usa per dipingere il quadro dove mi avvoge. Infine, preso dal bianco turbine, mi lancio in picchiata in mezzo al bosco e alla sua neve, saltando a rompicollo nella discesa. Bambino dimentico e felice. I cani attorno all’impazzata. Una nuvola bianca si alza nel versante esposto al sole. Domani danno pioggia. Ma la neve che ho raccolto tra le pieghe della pelle e nel grigio dei capelli non scioglierà.