Mi chiamano la mattina presto.
"Stanotte è caduto un altro ramo alla Quercia delle Checche!
Abbiamo bisogno di te. Puoi Venire?" Al Telefono è Nicoletta Innocenti, instancabile coordinatrice del Comitato SOS Quercia delle Checche, che con il suo gran lavoro e passione è riuscita a far diventare questa quercia il primo monumento naturale italiano tutelato dal Ministero delle Belle Arti. Guardo su Google Maps: sono 500 km giusti. "Ok parto domattina, a mezzogiorno sono lì". Nel pomeriggio preparo la moto e alle sei del mattino del giorno dopo parto. La quercia è un esemplare colossale, con una struttura straordinaria. Già nel 2014 aveva perso una grande branca. Ora il secondo traumatico evento, nell'agosto del 2017.
Quando finalmente la vedo
resto affascinato dalla sua bellezza e costernato da quel ramo di quasi 20 metri e con un diametro di oltre un metro disteso a terra.
Ha lasciato una profonda ferita sul fusto. Gli operai del Comune stanno posizionando delle impalcature per sostenere un'altra branca a rischio che, potrebbe cadere sulla provinciale che porta a Pienza. Osservo tutto attorno e la povera pianta. Un fulmine ha colpito l'albero. Ognuno ha le sue idee e le sue recriminazioni. "Si doveva intervenire prima", "Non eravamo proprietari del terreno", "Non c'erano i soldi", "Gli esperti avevano opinioni discordi". Parlo con il Sindaco Fabrizio Fè e con l'arch. Mariella Sancarlo della Sovrintendenza. Nicoletta è attenta ad ogni parola. "Mi raccomando! Ci affidiamo a lei" mi dice più volte il Sindaco. L'unica cosa certa nella mia mente è che ancora una volta sono arrivato tardi. Sempre così. Mi chiamano quando il danno è già accaduto. Quando non si può fare quasi più nulla. Pensando di aver davanti quasi un Dio che risolverà tutto. Invece io mi sento piccolo e impotente davanti alla forza e ai misteri della Natura e alle lotte intestine e spesso assurde degli uomini. Anche stavolta, qualsiasi cosa dirò, qualsiasi soluzione suggerirò, sarà poi usata contro di me dai colleghi, sarà interpretata male dall'una o dall'altra parte e la pianta probabilmente non ne trarrà alcun giovamento.
E' già successo
per il cipresso di Montezuma a Nola o il Pinone di Pavullo,
e moltissime altre volte, anche se con impatto mediatico minore. "Torno a vederla nel pomeriggio, poi vi dirò qualcosa" dico ad un certo punto. So che non ci sarà nessuno. Saremo solo io e Lei, la grande quercia e io, e potremmo parlarci senza tutto questo caos.
Ci sono quarantatre gradi quando salgo tra le braccia del gigante. Mi parla piano, dolorante e ferita. Osservo intorno i danni del fulmine, le ferite vecchie, quelle antiche e quelle nuove. I suoi 350 anni portati con dignità e serenità. "Sono stanca, tanto stanca". "Anche io, piccola. Mi spiace molto, non credo di poterti aiutare". "Lo so. Ma a volte si ha solo bisogno di compagnia". Quando scendo piango. Spengo il cellulare. Non voglio parlare con nessuno. Inforco la moto e cerco un pozza di acqua dove poter sparire.