Era lì davanti a me. Vecchia ma enormemente maestosa.
Improvvisa mi ha risucchiato nel suo grembo e tornando indietro di sei secoli son tornato bambino. Le vecchie ragnatele si sono aperte, dall’alto dell’immensa grotta nera arrivava la luce.
Quando l’occhio si è abituato e la paura del buio e delle sue sorprese è finalmente passata, son salito.
Sentivo la sua pelle ruvida sotto le mie mani, sapevo quanti anni avevano quelle rughe. Ho atteso un istante prima di sporgere fuori il viso da quella antica fessura, ferita inferta dal maltempo, dai secoli andati e dall’uomo. Alla luce potevo vedere le sue braccia aperte, infinitamente lunghe e flesse a raccogliere il sole, coperte di muschio e di ruvida corteccia bruna.
Io ero nel cuore dell’enorme vivente, dove un tempo, secoli prima, era iniziata la sua vita. E ritrovavo il mio passaggio di 20 anni addietro, inciso nelle fibre ormai quasi rocciose. Imperlato dai colori che come un pittore avevo disperso. Erano passati vent’anni da quando mi ero, per la prima volta, intrufolato nel ventre dell’immane gigante. A quel tempo mi portava il mio sapere scientifico, la passione e la bramosia del fare. Ora mi sentivo di tanti, troppi anni, più vecchio e più stanco, mentre il gigante cresceva con immutato vigore.
Ma il buio del suo cuore di legno batteva un tempo immemore
e mi sedetti, rintanato nel suo abbraccio. La vecchia mi aveva accolto così com’ero. Si era ricordata del ragazzo sorridente di un tempo e lo aveva ancora accolto. Ben sapendo che per lui il tempo era passato molto più in fretta. Ristetti, protetto nel suo guscio. Mentre fuori tra i suoi rami, giovani ragazzi danzavano a curarla. Io forse non ne avrei più avuto il tempo e il modo, ma solo il desiderio e l’invidia della loro frivola gioventù. Alla fine mi distesi ancora, nuovamente, riverente, sul fondo e strisciando uscii da quel piccolo buco che permetteva l’accesso al suo cuore. Ne carezzai ancora il tronco imponente e guardai la grazia dei suoi rami ultracentenari.
Ancora un vecchio albero mi aveva accolto e tra le sue foglie aveva disperso il mio malessere antico. Ancora un grande vecchio mi aveva abbracciato. Stavolta inequivocabilmente mi aveva avvolto tra le sue spire. Poi quasi leggero mi aveva fatto andare. Sorrisi. Ancora dovevo ringraziare.
Salutai la grande vecchia farnia di Sterpo e in silenzio me ne andai.
(foto di Stefano Zanini, per altre foto della grande quercia https://www.gianttrees.org/it/alberi-giganti/la-farnia-di-sterpo)