L'ottavo Continente - seconda parte
100 giorni in Amazzonìa
Ma davvero nel 2022 è ancora necessario arrampicare i grandi alberi fino in cima per misurarli direttamente con una cordella metrica di acciaio?
La risposta è semplice anche se non scontata.
Con la tecnologia di cui disponiamo (droni, laser, satelliti) non è difficile misurarli direttamente da terra, però se punto la chioma di un grande albero dal cielo non riesco a vedere la base del tronco, viceversa se la misura viene effettuata dal basso, spesso non posso vedere e individuare i rami più alti. Questo può portare a commettere un errore di misurazione che in alcuni casi risulta essere superiore anche al 10%.
Per questo motivo nelle foreste tropicali spesso le altezze sono solo stimate. Da questa stima però si ricavano le tonnellate di carbonio immagazzinate dalla foresta e in base a questo dato oggigiorno di decidono le politiche ecologiche ed economiche dell’intero pianeta.
Un errore medio di 5 metri sull’altezza della foresta tropicale può quindi generare politiche ambientali non adeguate, per cui anche la misura precisa di un grande albero, effettuata mediante Direct Tape Drop è riconosciuta a livello scientifico e acquista, soprattutto nell’odierno contesto di rapidi mutamenti climatici, un valore veramente importante, tanto che le nostre misurazioni sono usate dalla NASA o da altre agenzie spaziali per tarare i sistemi di rilevamento satellitare.
L’ultima mia esplorazione
mi ha portato nella foresta amazzonica per quasi 4 mesi.
Con la collaborazione degli studiosi locali abbiamo individuato e misurato in maniera scientifica quello che attualmente, con i suoi 54 metri di altezza è l’albero più alto del Perù, siamo andati a valutare come curare l’albero più grande delle Galapagos, distrutto da un temporale, abbiamo, con tutta probabilità, scoperto anche una nuova specie di ficus nella foresta dello Yasunì in Ecuador. E’ una pianta enorme con una base di oltre di 30 metri di circonferenza a petto d’uomo, rami di due metri di diametro e con una chioma che copre un’area pari a 7000 metri quadrati.
Attualmente assieme all’università di Palermo e a quella di San Francisco de Quito stiamo facendo degli accertamenti sul DNA proprio per determinare la sua specie.
Inoltre abbiamo accompagnato biologi e primatologi sulle piante più alte della foresta equatoriale per installare, prima volta al mondo, delle fototrappole sulle chiome dei grandi alberi del Sud America, così da individuare e conoscere meglio la biodiversità che si nasconde nel folto delle chiome.
Ho anche insegnato a molti nativi come salire in sicurezza sugli alberi per poter raccogliere i loro semi così da riprodurre gli alberi e riforestare le zone oramai degradate collaborando, con l’Instituto Terra di Sebastiao Salgado in Brasile, a combattere la deforestazione.
Ma uno dei risultati più impressionati della spedizione
è stato la misura di un grande shiuhahualco (Dipterix ferrea)
uno degli alberi dominanti della foresta amazzonica e con un legno molto resistente e prezioso, e proprio per questo soggetto a un elevato prelievo sia legale che illegale. Pensate che, nel solo Perù, si abbattono giornalmente oltre 500 alberi come questi e il legname del loro tronco viene venduto sul mercato cinese ed europeo come prelievo sostenibile per fare parquet di lusso. Ognuna di queste piante ha un’età che varia tra i 1000 e 1500 anni.
E’ perciò evidente che questi abbattimenti non sono assolutamente sostenibili, non saremo mai in grado di ricostruire una foresta con una tale biodiversità e un così elevato grado di servizi ecosistemici nonostante tutti i nostri studi e il nostro impegno economico ed energetico, perché, per rifare un albero e una foresta di 1000 anni occorreranno sempre 1000 anni.
Tutti i nostri sforzi e tutto questo lavoro hanno quindi un solo scopo: conoscere e salvare le foreste tropicali che attualmente sono uno dei centri più importanti per il mantenimento della biodiversità del nostro pianeta e che elargiscono, come solo loro possono fare, tutti i benefici ecosistemici di cui l’uomo ha assoluta necessità.
Infatti ricordiamoci che le più antiche foreste non producono solo ossigeno
ma migliorano il clima, creano il suolo, e soprattutto fungono da equilibratori dell’intero ecosistema mondiale grazie alla loro funzione tampone
cioè alla loro capacità di riportare e mantenere il sistema GAIA in equilibrio dinamico, proprio agendo sull’atmosfera, sul ciclo dell’acqua e su quello dei vari minerali, sul terreno e sui rapporti tra tutte le popolazioni di animali, di vegetali e di microorganismi.
L’uomo sta distruggendo le grandi foreste senza accorgersi che così facendo distrugge sè stesso e la possibilità di avere un futuro.
Per ricostruire una foresta in equilibrio non è assolutamente sufficiente piantare nuovi alberi, occorrono tutta una serie di fattori che la deforestazione selvaggia, gli incendi, il cambiamento climatico, alterano in brevissimo tempo. Per questo, il nostro primo obiettivo deve essere salvare tutte le foreste antiche, quelle vecchie, quelle che attualmente sono in perfetto funzionamento, cioè le foreste mature, con i loro grandi alberi che detengono una conoscenza ancestrale all’interno dei loro tessuti e del loro DNA e che sono i principali snodi di comunicazione tra tutti gli esseri della foresta. Dobbiamo lottare per questo. Le foreste mature esistenti OGGI sono il nostro futuro, non i nuovi milioni di alberi che possiamo piantare, che forse saranno il nostro futuro solo tra 200 anni quando (e se) riusciranno a raggiungere la maturità. Quindi dobbiamo smetterla di depredare le foreste come se fossero un sistema rinnovabile, perché sono rinnovabili sono in centinaia d’anni. Le possiamo salvare studiandole, imparando a conoscerle e a rispettarle perchè dobbiamo ricordare questo:
possiamo ricostruire la cattedrale di Notre Dame in 5 anni ma per fare un albero di mille anni occorreranno sempre mille anni .