Tornato.
Dopo un viaggio in moto, scorrazzando per i Balcani alla ricerca di grandi alberi.
Mi siedo davanti al verde prato della Tana. La luce della sera che scende accende di brillante il prato, il cavallo brucando alza la testa e da lontano mi guarda curioso. Il bosco di verdi diversi e infiniti contorna il mio piccolo angolo di paradiso. Mi godo la sera che arriva silenziosa.
Ancora una volta abbiamo compiuto un’impresa. Forse interesserà a pochi, forse a nessuno. Ma il grande albero nascosto nel bosco del Montenegro riecheggia nel mio cuore.
E l’immagine si sfuma nel ricordo, mentre sorseggio il mio bicchiere di rosso, dondolandomi dolcemente, con lo sguardo perso tra i fili d’erba. Ma improvviso compare quell’uomo, con un sacco in mano, lontano sul prato. E’ vestito come un tempo, il cappello di paglia sul viso, la giacca sgualcita sopra la camicia bianca. Lentamente affonda la grossa mano nel sacco di juta e estraendola, con un movimento dolce e deciso, ruotando il braccio intero, con un ampio movimento, fa cadere il seme, perfettamente distribuito, sul verde prato.. Come una danza ripete il movimento circolare del braccio. Avvicinandosi piano. Un gesto che da bambino avevo osservato migliaia di volte ma che da moltissimi anni non si vede oramai più. Appoggio il bicchiere quasi vuoto sul tavolo e osservo l’uomo venire. Il prato respira di una bruma chiara e luccicante, avvolgendo prima i passi poi salendo fino alla cintola dell’uomo che arriva. Di un’età indefinita. Né giovane né vecchio. Avanza. Roteando il suo braccio forte sulla nebbia incandescente mentre il seme si perde mescolandosi con le piccole gocce di bruma. Il petto chiaro appare e scompare da sotto la camicia bianca nel movimento composto e musicale del seminatore. Il cappello di paglia nasconde il viso dell’uomo intento al suo lavoro.
Semina sul mio prato. Senza chiedermi permesso.
Vorrei alzarmi, andargli incontro, chiedere cosa sta facendo. Resto invece seduto, immobile a guardare quel gesto sicuro, senza un minimo di indecisione, che l’uomo ripete all’infinito, camminando verso di me, eppur restando lontano.
Sento il mio cuore battere forte mentre lo osservo e nel buio della memoria riaffiorano urla, canti, pensieri di ogni colore.
L’uomo ora si è fermato. E’ al di là del canale. Le gambe immerse nella bruma che lentamente si muove senza rumore e si stende come un mare, lentamente, sull’intero prato, il petto nascosto dall’ombra che si allunga nella sera, lanciata da un giovane pioppo. Solo il cappello paglierino riluce al sole. Lentamente, molto lentamente il cappello si muove verso l’alto, nel gesto misurato del capo che alza lo sguardo dal lavoro terminato. Vedo le labbra, chiuse sotto il caldo afoso del tramonto che si allargano in un sorriso buono, poi da sotto la volta del cappello compare il naso. Signorile. Importante. Resto immobile cercando di riconoscere l’uomo. Ancora il capo si raddrizza lento. Da sotto le rughe di una pelle cotta al sole compaiono due occhi luminosi, incastonati come perle azzurre. La mano destra lentamente si alza. Tra il pollice e l’indice afferra il cappello, lo toglie e con un gesto composto del braccio si asciuga il sudore che dalla fronte scende sul viso. Pochi capelli neri cadono sul capo.
Finalmente mi guarda. Diritto negli occhi. Mi sorride con una dolcezza amorosa. “Ho seminato tanto, con ostinazione, ma ho seminato bene…”
Lacrime pesanti mi rigano il viso, mentre immobile continuo a guardare il prato che respirando assorbe l’immagine di quell’uomo buono e testardo che ha insistito a gettare semi sul mio terreno.
Il cavallo ancora mi osserva da lontano curioso. Con la zampa dietro scalcia lentamente il terreno, ondeggiando la lunga coda.
L’ultima cosa che scompare, tra i residui raggi di sole e la bruma del prato, è un cappello giallo paglierino,.
“Ciao Papà… Spero anch'io di imparare a seminare...”