Sono le otto del mattino.
Pietro, Elia, Renzo, Edison ed io. Beviamo il caffè.
“Quindi che facciamo?” mi chiedono all’unisono i ragazzi. “Prepariamo il furgone, le go-pro e tutte le batterie, mangiamo e partiamo alla volta dell’Avez! Chi ci sta?” Li guardo tutti uno alla volta “Io sì!” “Io sì” “Io sì” rispondono a turno. Edison mi guarda “Sono con te, fratello”. Il pomeriggio il furgone parte dalla Tana. I cinque membri dell’equipaggio cantano a squarciagola battendo il tempo mentre il nostro laboratorio mobile corre sull’autostrada. Per la prima volta in venti giorni sono alla guida. “Magari rimarremo solo noi. Magari resteremo solo questi cinque. Ma forse ora siamo una vera squadra “penso mentre la stanchezza si impadronisce dei ragazzi che smettono di cantare e si addormentano. Lontano si vedono i primi boschi del Trentino. Ho scritto un sms a Simone “se vuoi alle sei siamo all’Avez”. “Bene mi organizzo. Ma arrivo verso le otto”. Dalla radio sento che l’indomani sarà brutto su tutto il nord est. Altro sms a Simone “danno pioggia per domani, penso arrampichiamo appena arriviamo”. Sono proprio le sei quando arriviamo a Malga Laghetto. Sono curioso di rivedere il mio vecchio Avez del Prinzipe, l’abete bianco che avevo misurato vent’anni fa. Il mio primo gigante italiano. A quel tempo non esistevano i droni. Le riprese dall’alto per la trasmissione SuperQuark le avevano fatte con un elicottero che mi ronzava attorno mentre uscivo sui rami più alti della cima per fare la misura.
Alla base l’enorme fusto è cavo. Una piattaforma di legno impedisce giustamente il calpestamento delle tenere radici.
I primi rami sono secchi. “Forza ragazzi, forza. Veloci”. I primi rami sono secchi. “Forza ragazzi, forza. Veloci” il mio refrain di questo viaggio stavolta non dà fastidio. Tutti ci scherzano su. Ognuno conosce il suo compito. Elia porta l’attrezzatura, Renzo prepara le go pro, Pietro riprende con la 4K, Edison fa le fotografie, io installo il sagolino. “Saliremo tutti. Mi ricordo com’è fatta la chioma. E’ l’ultimo albero. Ci saliremo tutti e cinque. Prima io e Pietro arrampicheremo installando le funi. Poi Renzo ed Edison. Per ultimo Elia. Pronti, attenti. Via” Ci diamo il cinque e si parte. Il sagolino entra diritto tra i rami, in un attimo due funi sono pronte, io e Pietro partiamo. A turno arrampichiamo e ci filmiamo. Poi partono Renzo ed Edison per raggiungere la prima stazione a circa trenta metri. Io e Pietro li aspettiamo tutti esattamente a 45 metri. Parte alla fine anche Elia. Il sole quasi tramonta dietro gli alti abeti di Malga Laghetto. Cinque tree climbers gridano forte dalla cima dell’Avez. Siamo a 52 metri e 15 centimetri. Il grande abete bianco pieno di resina e muschio ci ha accolto tra i suoi rami. Siamo stati attenti a non disturbarlo, abbiamo preso le misure, l’abbiamo coccolato, ognuno a modo suo. Dai suoi alti rami abbiamo visto il sole scendere. “Grazie ragazzi. Grazie a tutti. Abbiamo fatto qualcosa di eccezionale, di irripetibile forse. E sono felice di averla fatta con voi”. “Olà come siete?” dal basso sentiamo la voce di Simone. “Manda su il drone! Siamo tutti in cima!” “E’ troppo buio non si vede più niente” mi risponde. “Come volevasi dimostrare” sogghigno sorridendo agli altri. “Dai scendiamo”. Ci godiamo la discesa. Nel buio oramai denso arriviamo a terra e andiamo a berci la meritata birra. “Domani piove” “Allora torniamo indietro stasera” “Arriveremo dopo le tre di notte…” “Va bene però domani si dorme” “Ci daremo il cambio alla guida se uno si stanca”. Partiamo da Lavarone che è quasi mezzanotte. Io faccio il primo turno alla guida. Dopo qualche tornante mi fermo, mi giro e li guardo “Ragazzi, abbiamo finito il giro d’Italia alla ricerca dell’albero più alto, è stata veramente un’impresa. Grazie a tutti” Renzo mi guarda da dietro il suo barbone “Grazie a te che hai voluto condividere con noi questa esperienza incredibile” Ripartiamo. Si torna a casa."
Son passati poco più di due anni da quella avventura.
E domenica siamo andati a salutare il vecchio Principe che lo scorso novembre ci ha lasciati.
Tristi. L'abbiamo visto disteso nel bosco, abbiamo misurato le sue ferite, la sua cavità, il suo tronco inerme. In piazza il Sindaco di Lavarone, Isacco Corradi, ci saluta cordiale. Anche lui cerca di "ridare vita" a questo enorme legno morto. Penne e occhiali costruiti col legno del gigante, rondelline con impressa la sua skiline, rondelle e tavole del fusto per studiarlo, alcune parti per fare una scultura, altre per creare violini e chitarre. "Il legno non muore mai se sappiamo dargli la sua giusta dignità. Costruiremo un museo. lo chiameremo Radici". Intanto Damiano, il custode dell'Avez, sta attento a ogni singolo taglio, Tommaso "il ragno rosso" e i suoi colleghi tagliano con attenzione ogni singolo ramo, attrezzati di tutto punto. Io resto a guardare, misurare pezzi, contare anni. "Duecento precisi fino alla cavità", ricorda Damiano. L'albero poteva avere quindi circa 250 anni. E' caduto. Lasciando un grande vuoto in tutti noi. Ma siamo qui. Insieme. Per ricordare che la vita e la morte nella foresta non sono contrapposizione. Ma l'insieme di punti necessari che costituiscono tutto il suo universo. Dovremmo ricordarlo anche per noi.