La prima volta mi avevano accompagnato le guardie forestali.
“C’è un bosco di pino nero incredibile”
mi avevano raccontato al telefono, “avranno oltre trecento anni”. Naturalmente non ci credevo ma sono andato a vedere. E invece nella stazione forestale di Moggio faceva bella mostra di sé una rondella di un fusto non molto grande di pino nero. I suoi anelli, talmente sottili che difficilmente si distinguevano a occhio nudo, erano stati accuratamente contati dal comandante.
“Sono più di 400 anni!” mi disse guardandomi orgoglioso, “Incredibile vero?”. Salimmo per una strada strettissima, incastonata tra curve rocciose e fusti di faggio, che prima di Grauzaria girava verso Monticello e da lì si trasformava subito in una mulattiera – sede di un percorso da mountain bike denominato “Il troi dai borcs” (Anello dei Borghi di Moggio) – ma abbastanza larga da farci passare una “Panda 4×4”. Le strettoie più impegnative erano date dalla vicinanza delle vecchie case del Borgo di Mezzo e di Morolz, due piccoli e antichi agglomerati, veramente incantevoli. Dopo l’ultima casa, il sentiero, con il suo saliscendi tra i boschi e i ruscelli che ogni tanto lo attraversavano e scendevano in un ambiente selvatico ma non ostile, subito mi affascinò. Eravamo diretti a ‘Moggessa di Là’.
“E’ un ‘bosco bandito’, unico nel suo genere”.
Da ragazzo, quando sentivo parlare di bosco bandito, pensavo ci si riferisse a antiche leggende di banditi nascosti nella foresta. Solo più tardi ho compreso che si intendeva un bosco “bandito al taglio”, cioè un bosco che non può essere tagliato, se non in casi molto particolari, perché assolve importanti funzioni per la comunità. Il più delle volte queste funzioni sono di ordine idrogeologico (paramassi o paravalanghe), a volte però possono anche essere funzioni economiche (far aumentare il valore del legname ottenendo alberi molto vecchi e grossi). Certo è che, pur non volendolo direttamente, questi boschi vengono, nel tempo, ad assumere anche un importante valore ecologico, proprio grazie alla loro vetustà e all’importante impatto che esercitano nell’ambiente su cui insistono per centinaia di anni.
Il bosco bandito di Moggessa di Là è nato con funzioni essenzialmente protettive,
dovendo assolvere nei secoli al difficile compito di para massi a difesa del piccolo paese. La sua particolarità risiede nell’essere costituito prevalentemente da pino nero, mentre quasi tutti i boschi banditi con funzioni protettive sono a prevalenza di faggio.
Scendendo da una ripida discesa, dopo l’ultima curva, ci ritrovammo davanti al piccolo borgo.
“Pensa che queste case, fino a prima della guerra, ospitavano più di 700 persone. Da dopo il terremoto del 1976 sono praticamente disabitate, e molte sono in rovina, ma qualche proprietario ha iniziato a recuperarle e ci viene a passare i mesi estivi”.
Guardavo gli stretti viottoli di sassi, le tante fontane ancora con l’acqua corrente, le case di sasso, molte con tralci di vite che ancora si arrampica sulle scale esterne prendendo il caldo del muro a sud. L’antica struttura costruttiva degli edifici dà risalto alla storia delle genti che qui hanno vissuto per molti secoli. Evidenzia la fatica della dura vita in montagna ma, incredibilmente, anche la voglia di creare qualcosa di bello. Lo si può intuire dalla cura dei particolari, a volte insignificanti, ma comunque preziosi che ancora si riescono a scorgere camminando tra le viuzze pavimentate di sasso, dove mai un mezzo motorizzato ha potuto passare.
Cammino incantato nel vecchio paese. “Da qui si scende al vecchio mulino attraverso un sentiero, poi, risalendo la valle, si arriva a ‘Moggessa di Qua'. Pensa che vengono tantissimi austriaci a visitare questi posti ma quasi nessun friulano conosce questo bosco.”
“Tornerò”, penso tra me e me, mentre ammiro sul pendio gli antichi custodi verdi che han difeso per secoli queste povere case. Case che solo “l’Orcolat” (ndr: così è chiamato a volte in lingua friulana, per la paura che incute, il terremoto) ha potuto abbattere insieme alla tempra montanara dei suoi antichi abitanti.