di Luigi Delloste
Fuori fa freddo,
mi chiedo se forse ho ancora voglia di una passeggiata, così, per distogliermi un po’ dal tran tran quotidiano, accetto la sfida e infilo le scarpe, quelle buone per l’inverno. Le calze le accompagnano, prendo le chiavi e aprendo la porta tiro un sospiro, come se la sfida potesse in qualche modo iniziare, in questo modo, mi voglio ancora mettere in gioco, uscire. Non devo provare nulla, solo smorzare la molle noia di chi ha e sta e non vuole interrompere il torpore. L’aria che frizza, la maniglia fredda e il gioco di rumori mi colgono e tutto, ora, inizia a muovere per il nuovo proposito. Una passeggiata nel parco. Foglie secche, qualche piccolo cumulo di neve ormai sporca e passeri che bisticciano, briciole per terra vicino a una lattina distratta, pare ciondolare, poi, gente infreddolita che cammina velocemente per il proprio destino. Una brezza insolita mi trasporta le orecchie verso un edificio lontano, quelle finestre mi ricordano il passato di quel luogo e sedendomi sulla panchina per un attimo di riflessione, scorgo per terra un piccolo pezzo di carta arrotolato. Indugio, non credo possa mai contenere qualcosa di interessante e poi, che mai potrò avere dalla mia curiosità nei confronti dello sconosciuto che l’ha scritto? Si alza ancora un tenue alito di vento e per un istante ho l’esitazione di prenderlo, chissà, come se fosse l’ultima opportunità, l’ultima possibilità per aprire quella finestra sul mondo davanti a casa mia che non conosco ancora.
Mi chino e in un gesto da dramma teatrale lo colgo proprio l’istante prima che il vento possa togliermelo per sempre, non perché irraggiungibile ma semplicemente perché uno non si alza dalla panchina per inseguire un foglio di carta arrotolato… no, non lo si fa.
E ora che l’ho tra le mani, tentenno, mi prende un nodo alla gola, è come se avessi paura di aprirlo, profanare chissà quali segreti di chissà chi… Il lembo, sì, inizierò con quello, timido da morire di vergogna, ma no. Passano persone non più distratte e affrettate, e cupe mi osservano, le loro occhiate paiono invettive, loro non vorrebbero, no, attendo ancora un po’ per prendere coraggio e intanto si libera per poco, la passeggiata. Controllando e cercando di non destare sospetti, riprendo il foglio accartocciato, questa volta con tutte e due le mani, incespico, perdo la presa, riprovo e mi raggiunge una telefonata, rispondo scocciato, poi mi scuso, sono sovrappensiero, liquido la conversazione in due parole.
Non devo, non posso, ma intensamente ora lo voglio, con tutto il mio essere.
Tutto si apre in un incanto di segni, correzioni, parole a metà, riconosco la lista della spesa abbandonata in chissà quale posto. Tanto per così poco.
Deluso, ho l’impulso di rincartocciare il tutto e gettare nuovamente a terra, poi mi fermo, qualcosa non mi convince ancora. Lo riapro e noto quanta delicatezza nei segni, l’umiltà del tratto e la povertà della nota, è la lista della spesa di qualcuno che deve fare i conti con i soldi che non ha, per mangiare ciò che può prendere con ciò che gli rimane.
Ora capisco, cosa darei per aiutare l’autore di quel messaggio, non sono ricco, ma sicuro, la cena di Natale gliela posso offrire e forse anche qualcos’altro.
Leggo e rileggo quelle poche righe e intravedo altro ancora la debolezza, la paura, l’angoscia dei poveri, i desiderata che pare riempiano sin troppo le possibilità di quel foglio sdrucito in quegli spazi inspiegabilmente risparmiati.
Mi abbandono sulla schiena allungando le gambe e nella sera che mi raggiunge, lenta e sempre più fredda, non distinguo l’imbrunire, il cappello sulla testa mi confonde, ancora sì, mi protegge un po’, i miei occhi lucidi per il freddo, non so, reclamano lo stanco divenire che attende.
Chissà, dove sarà chi ha scritto.
Passano ancora altri minuti, poi riprendo la strada dalla quale sono giunto, devo rincasare, ma non riesco più a togliermi il pensiero di quel foglietto che tengo stretto come un figlio, la mano sudata, la strada di casa.
Ancora una volta il giorno passa e davanti al piatto della cena spietata cade una piccola lacrima, domani, forse sarò migliore, come… domani forse vivrò meglio gli istanti belli della vita, qualsiasi essi siano.
Domani.
Testo e fotografie di Luigi Delloste