Anche questa mattina piove.
Aspettiamo guardando fuori. Ma non smette
Alle dieci piove meno “proviamo a tirare due cannonate al grande ceibo scoperto nella buca della foresta. Sono solo due chilometri da qui. Tanto piove sempre"
Tutti accettano.
Quando arriviamo al ceibo dopo esserci inoltrati in una selva pantanosa e sbuffante di vapore, ricomincia a piovere veramente forte. Ma nessuno si lagna e sotto l’acquazzone prepariamo il cannone, Cira paziente mi aiuta a sistemare il filo, Gio prepara il cannone. 100 pompate 45 atmosfere. Davide riprende attento le scene mentre i due Waurani che ci hanno accompagnato seguono attenti
Il primo tiro è buono ma il peso non scende. Per il secondo tiro cambio peso e aumento le atmosfere: 50. Sparo.
Scende di corsa, grido a Giovanni di prendere il cannone e lui invece stoppa il sagolino. "Che caz... fai!!!! Molla!" Riprendo il sagolino, fortunatamente riparte e scende fino a terra. Non si capisce bene dove si appoggia ma sembra buono. Giovanni va a prendere la corda mentre io provo a sparare da un altro lato visto che sta smettendo di piovere. Devo però srotolare tutto il sagolino vecchio. Una bella prova di pazienza. Salto il fiume, miro e sparo. Centro un grozzo ramo e il sagolino scende veloce. Possiamo installare due corde e una è sicuramente buona
Stimo il primo ramo su cui passa la fune a oltre 35 metri, l’altro è più alto ma non sono sicuro della bontà dell’ancoraggio che da terra non si riesce a valutare. Finalmente posso salire anche se non so come farò a continuare restando appeso sotto il grande ramo. Preparo tutto con minuzia. Finalmente salgo il gigante travestito di foglie non sue.
Arrivo quasi fino all’ancoraggio guardando sotto di me la foresta splendida come lo è il grosso tronco avvolto da liane, epifite, diversi ficus che lentamente si accrescono sperando un giorno di rubarr il posto al grande albero.
Entro nella chioma e ancora una volta si risveglia un senso per me praticamente assopito fuori dalla foresta. L’olfatto. L’odore della foresta forte mi avvolge. Mi fermo. Respiro il suo forte odore di terra di cielo, foglie decomposte, verde che elabora il sole, linfa ricca che scorre, formiche che pungono, felci che volano e radici che penzolano. Respiro. Fermo. Appeso. Respiro l’odore. Un odore che so già, non potrò più scordare, come quello dell’acqua inesistente delle foreste di arucaria in Cile, del suolo mai calpestato dei boschi di fitzroya in Patagonia, della terra di cielo sui rami dell’Abuelo Giuan della Selva Venezuelana, o dei rami nodosi del Kauri notturno in New Zealand o dei galbuli di sequoia a oltre ottanta metri e l’estremo odore di pino del matusalemme ultramillenario sulla white mountains. in california. Odori che ho sentito, prepotentemente e stranamente, col mio naso di norma chiuso a qualsiasi altro odore.
Sono appeso di sotto a un grosso ramo, ma è letteralmente un casino salire.